La Corte di Cassazione, con provvedimento n. 22486/2020, ha statuito che il delitto di bancarotta documentale e quello previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 concretano un’ipotesi di concorso formale di reati e non pongono, ove trattati all’interno del medesimo procedimento, problemi di precedente giudicato, né di preclusione processuale. Qualora, nei confronti di un soggetto, sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato per uno dei suddetti reati, concernenti la medesima documentazione, l’azione penale non potrà essere esercitata per l’altro reato.
Il caso analizzato dalla Suprema Corte
Un imprenditore veniva condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, con l’accusa di aver distratto – come amministratore di fatto della società fallita – beni per oltre 700 milioni di lire ed occultato le scritture contabili, allo scopo di impedire l’accertamento delle proprie operazioni, volte a frodare il fisco. A seguito della conferma della condanna in appello, proponeva ricorso per cassazione. Lamentava, in particolare, la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto era già stato, per i medesimi fatti, condannato per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. n. 74/2000)

La decisione della Corte
In via preliminare, la Corte di Cassazione esamina l’istituto del ne bis in idem, in relazione ai delitti contestati nei diversi procedimenti, nelle sue diverse accezioni, sostanziale e processuale. La Quinta Sezione, in particolare, evidenzia che – dal punto di vista sostanziale – sebbene la condotta materiale del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili e quella prevista dall’articolo l’art. 216 L.F. (che sempre prevede l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili) potrebbero astrattamente coincidere, tuttavia tali reati presentano una struttura del tutto divergente. Ne consegue che, gli stessi concretano un’ipotesi di concorso formale di reati e non pongono – allorché siano trattati congiuntamente – problemi di preclusione processuale.
In altri termini, sul piano astratto, anche laddove l’occultamento o la distruzione riguardi le medesime scritture contabili o gli stessi documenti, nulla osta alla contestazione anche del reato di bancarotta, nel “simultaneus processus” avviato per il delitto penal-tributario.
I Giudici passano, poi, a valutare l’applicabilità al caso in esame, del principio del ne bis in idem, sotto il profilo processuale, comparando il fatto storico oggetto del procedimento per l’art. 10 D.Lgs. 74/2000, già giudicato, con quello oggetto della nuova iniziativa penale, esercitata per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. In linea con le ultime statuizioni della Corte Costituzionale, il provvedimento in commento ribadisce che il principio del ne bis in idem processuale può essere applicato anche ad ipotesi di concorso formale, tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile (art. 10) e il reato diverso per cui è iniziato il nuovo procedimento penale (art. 216).
Nel caso in esame, il principio del ne bis in idem processuale non ha, tuttavia, potuto operare in quanto, sebbene la condotta materiale del ricorrente, giudicata nel procedimento già concluso (per il reato di cui all’art 10 D.Lgs. 74/2000), astrattamente coincidesse con quella sanzionata dall’art. 216 L. F., i documenti occultati e distrutti dall’imputato nei distinti procedimenti erano del tutto diversi. Manca, dunque, il requisito di identità del fatto per applicare l’istituto.
I Giudici di legittimità hanno, infine, precisato che, ove il ricorrente fosse stato imputato, nei due differenti procedimenti, per aver distrutto le medesime scritture contabili, si sarebbe potuta ravvisare un’identità di fatto tra i procedimenti e, quindi, l’imputato sarebbe stato prosciolto per il divieto di un secondo giudizio, così come previsto dall’art. 649 c.p.p.
Artt. 216 L. F. e 10 D.lgs. n. 74/2000: ipotesi di concorso formale di reati ?
La bancarotta fraudolenta documentale e l’occultamento e distruzione di documenti sono delitti con rilevanti differenze strutturali. Si pensi ai diversi beni giuridici tutelati dalle due norme: quella penal-tributaria è posta a presidio dell’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente; mentre quella penal-fallimentare protegge l’interesse dei creditori a conoscere le vicende dell’impresa, allo scopo della conservazione del suo patrimonio.
Le norme divergono, inoltre, quanto a:
- oggetto materiale degli illeciti, nell’uno limitato alle scritture contabili o documenti di cui è obbligatoria la conservazione a fini fiscali; nell’altro, invece, comprensivo di tutte le scritture contabili, richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa, indipendentemente dall’obbligo di conservazione fiscale;
- destinatari del precetto penale, posto che nel primo caso la fattispecie è indirizzata al “contribuente”, mentre nel secondo, unicamente all’imprenditore dichiarato fallito;
- oggetto del dolo specifico (il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di consentire l’evasione a terzi”, da un lato; il “procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori”, dall’altro);
- dimensione dell’offesa delle condotte poste in essere: nel caso della norma tributaria, le condotte sono dirette a precludere la ricostruzione dei redditi e del “volume” d’affari; nel caso della norma fallimentare, a non consentire la ricostruzione del patrimonio e del “movimento” degli affari.
Si può, quindi affermare che tali reati sono in rapporto di specialità reciproca, in quanto l’uno contiene gli stessi elementi dell’altro, ad eccezione di alcuni, presenti solamente nel primo o nel secondo (e, perciò, detti “specializzanti”). In particolare, la norma fiscale è speciale rispetto a quella fallimentare in relazione all’oggetto materiale delle condotte ed alla offesa arrecata, nonché all’oggetto del dolo specifico; mentre è generale con riguardo ai soggetti destinatari dell’incriminazione, potendosi la stessa applicare anche all’imprenditore non fallito e, persino, al contribuente non imprenditore.
Servendosi esclusivamente del principio di specialità – previsto dall’art. 15 c.p. – la Cassazione ha tratto le motivazioni per affermare il concorso di norme.
A parere di chi scrive, di converso, la Corte erra nella valutazione del caso concreto, in quanto esclude l’operatività di ulteriori principi, utili a sciogliere i dubbi interpretativi in ordine al conflitto apparente di norme.
Ci si riferisce, in particolare, al principio di sussidiarietà, – richiamato espressamente dalla clausola di riserva dell’art. 10 D.Lgs. 74/20005- tra la fattispecie tributaria, meno grave, e quella fallimentare, nel senso che il reato tributario si applica solo in subordine, quando non è possibile configurare la bancarotta fraudolenta. Tale principio avrebbe permesso alla Corte di escludere il concorso di norme tra i delitti in esame.
Non convince, infatti, l’argomento valorizzato dalla sentenza in commento, secondo cui il principio di sussidiarietà può operare soltanto in presenza di delitti che tutelino il medesimo bene giuridico. In molteplici occasioni la Suprema Corte ha, al contrario, ammesso l’applicazione della clausola di riserva, pur in presenza di fattispecie poste a protezione di un differente bene giuridico, utilizzando il criterio dell’identità del fatto storico-naturalistico.
Allo stesso modo, appare del tutto discutibile la ricostruzione, operata dalla Suprema Corte, dell’oggettività giuridica delle fattispecie di reato. Queste ultime, già dal loro confronto in astratto, presentano, infatti, diverse similitudini: entrambe sono dirette a garantire la “trasparenza” delle scritture contabili (pur se, in un caso, nella prospettiva degli interessi fiscali e nell’altro, della massa dei creditori). Anche il disvalore della condotta punita dalle due fattispecie è sostanzialmente identico, essendo rappresentato da comportamenti volti a distruggere o nascondere libri e scritture contabili.
Si deve, quindi, giungere a conclusioni del tutto differenti, rispetto ai principi affermati nella sentenza in commento.
Tra i reati di bancarotta fraudolenta documentale e occultamento o distruzione di documenti contabili, a parere di chi scrive, sarà possibile, non soltanto beneficiare degli effetti del principio del ne bis in idem processuale, ma anche di quello sostanziale. In particolare, ove tali reati siano trattati nello stesso processo, potranno configurare una possibile preclusione in termini di violazione del divieto di bis in idem sostanziale, tale da non consentire che uno stesso fatto sia addebitato giuridicamente due volte alla stessa persona.
In tale ottica, infatti, l’applicazione di una sola delle norme esaurisce l’intero contenuto di disvalore sul terreno soggettivo ed oggettivo del fatto. In termini più semplici, ogni volta che un fatto possa essere sussunto in entrambe le fattispecie oggetto del presente commento, l’imputato dovrà essere giudicato soltanto per la fattispecie più grave, che si identifica nel delitto penal-fallimentare.
Il testo della nota a Cass. 22486/2020 è pubblicato sulla rivista Accertamento e Contenzioso (Euroconference), n. 72/2021 p. 74-80.
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