Entro quali limiti possono ritenersi lecite determinate attività di utilizzazione agronomica degli effluenti? Quali, invece, configurano ipotesi di reato, sanzionate dalle norme di tutela ambientale? Il presente contributo, dopo aver individuato la disciplina applicabile a tale tecnica agricola, si pone l’obiettivo di analizzare le diverse ipotesi in cui, nella prassi quotidiana, vengono utilizzate pratiche – solo in apparenza lecite – volte a occultare lo smaltimento o lo scarico abusivo di rifiuti.
Osservazioni preliminari
Come noto, nel mondo dell’impresa agricola, la pratica illecita di liberarsi, con facilità e senza controllo, di rifiuti e reflui, risparmiando, così, sui costi di gestione e di personale, trova terreno fertile in una serie di circostanze: l’“atteggiamento benevolente” di un Legislatore poco attento alla tutela dell’ambiente, che continuamente crea norme ambigue, interpretabili secondo le esigenze del momento; un controllo del territorio del tutto insufficiente e una totale inadeguatezza delle sanzioni, specie quelle amministrative, che hanno scarsissimo effetto deterrente. Tale fenomeno criminale risulta particolarmente diffuso nel settore zootecnico. Se, infatti, in passato, gli allevamenti erano di natura estensiva e, pertanto, non vi era alcun problema di smaltimento delle deiezioni, poiché la quantità dei reflui era direttamente proporzionale all’estensione del pascolo, il problema è divenuto rilevantissimo in seguito allo svilupparsi degli allevamenti intensivi.
La necessità di eliminare enormi quantitativi di liquami ha, quindi, indotto al mascheramento – con l’innocua pratica della fertirrigazione – di attività configuranti scarico non autorizzato o abbandono di rifiuti. Con la contestuale tendenza a rendere questa pratica esente e zona franca dalle normative sull’inquinamento (sia da quella in materia di rifiuti sia da quella in materia di scarichi).

La "fertirrigazione": il quadro normativo di riferimento
Tale tecnica consente la sistematica diffusione organizzata di liquami o acque di vegetazione sui terreni allo scopo di renderlo fertile e produttivo. Questa pratica permette, in particolare, di frazionare gli apporti di nutrienti sulle colture in fase di crescita attiva e di rendere omogenea la loro distribuzione in campo. È, così, possibile elevare al massimo le capacità produttive delle coltivazioni, anche in termini qualitativi, se si dosano con attenzione l’acqua1 e i nutrienti, basandosi sui bilanci idrici per la prima e curve di assorbimento per i secondi.
Il liquame, entro certi limiti quantitativi e a precise condizioni, non deve essere considerato rifiuto e può, quindi, essere oggetto di fertirrigazione.
Come anticipato, tale operazione si è, tuttavia, spesso trasformata in un metodo per lo smaltimento occulto di rifiuti liquidi: l’utilizzo di falsi ammendanti o fertilizzanti cela, infatti, un’illecita attività di smaltimento, volta a liberarsi, senza controlli né esborsi economici, di rifiuti e reflui, con il conseguente pericolo di causare gravi danni ambientali.
Solo negli ultimi anni la fertirrigazione è stata oggetto di regolamentazione sia da un punto di vista agronomico-tecnico, sia in riferimento alle normative sull’inquinamento da rifiuti e delle acque, e alle dettagliate discipline regionali in materia.
Più nello specifico, il Legislatore, all’articolo 74, lettera p), D.Lgs. 152/2006 ha definito come «utilizzazione agronomica»: «la gestione di effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agro-alimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute».
La norma chiarisce che l’utilizzazione agronomica non riguarda solo il mero spandimento, che ne è soltanto la parte finale, ma l’intero processo (con particolare riferimento alle fasi precedenti, di deposito in vasca impermeabilizzata e di trasporto a mezzo autobotte).
L’articolo 112 del Tua ha individuato, invece, i liquami e le acque con i quali può essere compiuta la fertirrigazione. Quest’ultima – soggetta comunque a comunicazione all’autorità competente – è consentita per:
- gli effluenti di allevamento;
- le acque di vegetazione dei frantoi oleari; e
- le acque reflue provenienti dalle aziende di cui all’articolo 101, comma 7, lettere a)1, b)2 e c)3, Tuir e da piccole aziende agroalimentari, così come individuate in base al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali.
Se in precedenza si potevano nutrire alcune perplessità in ordine all’assimilazione delle acque provenienti da allevamenti animali alle acque reflue domestiche, dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 4/2008 è stata eliminata ogni questione interpretativa, posta da dottrina e giurisprudenza nel corso del tempo, in quanto il decreto citato ha introdotto un’assimilazione ex lege delle acque reflue da attività di allevamento alle domestiche. La suddetta modifica normativa, comportando il venir meno del requisito della connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra e dei criteri di individuazione di tale connessione, capovolge sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina precedente.
Va poi, aggiunto che, secondo la giurisprudenza, l’utilizzazione agronomica non si identifica solo con un’attività irrigua, ma può avere a oggetto anche il letame allo stato solido. Non è, quindi, corretto distinguere le frazioni solide delle deiezioni del bestiame dalle frazioni liquide, né esse possono essere assoggettate a 2 discipline giuridiche diverse.
Si ricorda, inoltre, che un’eventuale utilizzazione agronomica dei reflui non esclude l’autorizzazione per lo stoccaggio nella vasca, in quanto la pratica della fertirrigazione prescinde dalle modalità di gestione delle acque reflue di un allevamento, sia che esse siano o meno soggette alla normativa sui rifiuti o a quella sulle acque, e, in quest’ultimo caso, indipendentemente dalla classificazione dello scarico come industriale o domestico.
L’articolo 112 citato fa espressamente salve le norme speciali stabilite dal D.Lgs. 59/2005 per i casi in cui, in considerazione delle particolari dimensioni di un impianto di allevamento intensivo, per esso sia richiesta l’autorizzazione integrata ambientale, nonché la particolare disciplina dettata dall’articolo 92 del Decreto per le zone vulnerabil
La fertirrigazione irregolare : gli aspetti sanzionatori penali
Il comma 14 dell’articolo 137, Tua punisce con l’ammenda da euro 1.500 euro a 10.000 euro o con l’arresto fino a un anno chiunque effettui l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure previste dall’articolo 112, Tua.
Il fulcro dell’illiceità della fattispecie è dato dall’inosservanza delle norme che regolano l’attività in esame, scandita da una tendenziale tripartizione:
- a) svolgimento dell’attività fuori dei casi e delle procedure stabilite dall’articolo 112;
- b) inottemperanza al divieto o all’ordine di sospensione impartito ai sensi dell’articolo 1122;
- c) svolgimento dell’attività fuori dai casi e delle procedure comunque previste dalla normativa vigente.
La formulazione della norma comporta, tuttavia, problemi interpretativi legati alla descrizione legislativa del reato. È, infatti, difficile da individuare con certezza quali siano i “casi e le procedure”, a cui si riferisce il Legislatore. Parte della dottrina interpreta la norma in modo stringente, concludendo che l’unica condotta punita è l’utilizzazione agronomica in assenza della preventiva comunicazione. Quello della comunicazione è, infatti, l’unico esempio di “casi e procedure” contenuto espressamente nell’articolo 112 cit., in quanto, l’articolo fissa soltanto quali siano gli atti normativi in cui dovrà essere contenuta la disciplina della fertirrigazione e quale debba essere in linea generale il suo contenuto.
A parere di chi scrive, la formula “al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste” dovrebbe, invece, interpretarsi nel senso che la sanzioni vanno applicate tutte le volte che si effettui l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure previste dal D.M. 6 luglio 2005 e dalle normative regionali individuate dall’articolo 112.
Un ulteriore elemento di difficoltà interpretativa, in ordine ai limiti di applicabilità della norma, è dato dall’articolo 8, D.M., 6 luglio 2005, il quale stabilisce che le Regioni possono adottare sanzioni amministrative in 2 campi:
- quello dell’inosservanza delle norme tecniche, la cui determinazione è di loro competenza specifica;
- quello delle prescrizioni che il Sindaco può imporre all’utilizzazione agronomica.
È necessario, pertanto, verificare quale sia l’ambito di applicazione delle sanzioni amministrative regionali e se, tra le fattispecie che integrano il reato di cui all’articolo 137, comma 14, Tua e quelle che determinano le sanzioni amministrative, ve ne siano alcune che rientrino in entrambi i campi di applicazione. In tale ipotesi, andrà, in ogni caso, applicata la disposizione penale.
Con riferimento ai “casi”, invece, occorre osservare l’estrema genericità della locuzione utilizzata. La giurisprudenza, ormai consolidata, sancisce che la sanzione in esame possa essere contestata soltanto nei casi in cui effettivamente si proceda a un’utilizzazione agronomica dei reflui, cioè si esegua un’operazione rivolta ad arricchire di ammendanti il terreno oggetto di coltivazione.
Sul punto, per rientrare nell’ambito della fertirrigazione, devono ricorrere le seguenti condizioni:
- una coltivazione effettivamente in atto;
- l’uso degli effluenti congruo – per qualità, quantità e modalità della loro applicazione – rispetto allo scopo dichiarato;
- l’assenza di elementi sintomatici di un uso diverso da quello consentito. Occorre, pertanto, che lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze siano compatibili con l’attività agronomica.
Può sussistere – invece – il caso di una fertirrigazione correttamente attivata su un terreno con reali finalità di utilizzo agronomico, ma nel contesto della quale si verifica, poi, un’irregolarità nella gestione delle operazioni. In tali fattispecie – che presentano il presupposto di una attività non fraudolenta – si possono ragionevolmente ritenere applicabili le sanzioni previste dalla norma per la fertirrigazione irregolare. In tal senso, la Suprema Corte ha sanzionato ex articolo 137, comma 14, Tua un agricoltore per non aver esibito, a seguito di un controllo, il registro di fertirrigazione, la cui tenuta e compilazione è obbligatoria ai sensi del D.M. 25 febbraio 2016. Tale documentazione risulta, infatti, necessaria per dimostrare sia su quali appezzamenti di terreno è avvenuto lo spandimento di liquami, che le modalità con cui tale operazione è stata effettuata

Profili Processuali
La soluzione processuale più rapida ed efficace per elidere le conseguenze penali derivanti dalla commissione della “fertirrigazione irregolare” consiste nella possibilità, concessa all’indagato/imputato, di accedere al rito speciale dell’oblazione. Tale istituto processuale risponde, infatti, alla più generale tendenza di depenalizzazione progressiva dei reati minori, come quello in esame, e costituisce una causa estintiva degli stessi. In particolare, nel caso della contravvenzione disciplinata dal comma 14, articolo 137, Tua, punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, l’articolo 162-bis, c.p.1 prevede la possibilità per il contravventore di essere ammesso al pagamento di una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda, oltre alle spese del procedimento, in seguito all’accertamento giudiziale in merito alla sussistenza, nel caso concreto, di alcune circostanze, quali la rimozione delle conseguenze dannose del reato, la tenuità del fatto commesso e la verifica della mancata contestazione all’indagato/imputato della recidiva, abitualità e professionalità ex articoli 99, 104 e 105, c.p. (c.d. oblazione speciale o facoltativa). Già nel corso delle indagini, l’indagato può proporre domanda di oblazione e, in tal caso, il P.M. deve trasmettere la richiesta, unitamente agli atti del procedimento, al giudice per le indagini preliminari. Iniziato il processo, la domanda di oblazione deve, invece, essere presentata direttamente al giudice, che decide dopo aver raccolto il parere del P.M.. Tale istanza può, in ogni caso, essere presentata al Tribunale, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Ove, invece, il P.M. abbia disposto il decreto penale di condanna, la richiesta di oblazione dev’essere depositata congiuntamente alla proposizione dell’opposizione (articolo 464, comma 2, c.p.p.).
Il giudice, se non ritiene inammissibile la richiesta di oblazione (presentata), ammette il contravventore a tale rito speciale e fissa, con ordinanza, l’ammontare della somma che l’indagato/imputato è tenuto a pagare dandone avviso all’interessato. Una volta verificato il pagamento della somma in questione, verrà pronunciata sentenza di proscioglimento per estinzione del reato in seguito a intervenuta oblazione.
Oltre all’istituto generale appena illustrato il Legislatore ha previsto un meccanismo ad hoc, contenuto specificamente nel Tua, per estinguere il reato di “fertirrigazione irregolare”.
Tale procedura si applica alle ipotesi contravvenzionali “che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette” (articolo 318-bis, Tua).
Se queste ricorrono, si impartisce al contravventore un’apposita prescrizione finalizzata alla regolarizzazione della situazione di illiceità, entro un determinato lasso di tempo (articolo 318-ter, comma 1, Tua).
La prescrizione è data dall’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55, c.p.p., ovvero dalla polizia giudiziaria, ed è “asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata”. In particolare, deve essere fissato un termine per l’adempimento delle prescrizioni, che: “può essere prorogato una sola volta, a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a 6 mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al Pubblico Ministero”.
L’organo accertatore ha, comunque, l’obbligo di comunicare al Pubblico Ministero la notizia di reato (articolo 318-ter, comma 4, Tua), il quale iscrive nel registro degli indagati il contravventore. Tuttavia, il procedimento penale rimane sospeso, sino a quando non si verifica una delle seguenti ipotesi:
- il trasgressore adempie correttamente alla prescrizione nei termini indicati dalla legge, e, in tal caso, l’organo accertatore, dopo aver verificato, che la violazione è stata eliminata, “ammette il contravventore al pagamento in sede amministrativa, nel termine di 30 giorni, di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa”. L’organo accertatore comunicherà, infine, al P.M., entro 120 giorni dalla scadenza del termine, se la prescrizione è stata adempiuta, nonché l’eventuale pagamento (articolo 318-quater, comma 2, Tua). In tal caso, la contravvenzione sarà estinta e il procedimento archiviato;
- il trasgressore: a) adempie in un tempo superiore a quello fissato nella prescrizione, ma, comunque, congruo con i tempi imposti all’organo accertatore per la verifica dell’adempimento; o b) elimina le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle fissate nella prescrizione. Tali circostanze sono valutate ai fini dell’applicazione della procedura di oblazione, ex articolo 162-bis, c.p.1 e, in questo caso, applicandosi la disciplina generale, la somma da versarsi torna a essere pari alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione;
- il contravventore non ha adempiuto alla regolarizzazione, entro il termine di 60 giorni dalla scadenza, fissato nella prescrizione. L’organo accertatore ne dà comunicazione al P.M., al contravventore e, in seguito a tale avviso, il procedimento penale si riavvia seguendo il suo corso ordinario.
Conclusivamente, a parere di chi scrive, sarebbe auspicabile un coordinamento tra i 2 istituti in esame. Nel caso in cui non vi sia danno o pericolo concreto e attuale di danno, sarebbe opportuno attivare la procedura prevista dal Tua; nelle altre ipotesi, si dovrebbe, invece, applicare l’istituto dell’oblazione ex articolo 162-bis, c.p., sempre che non permangano conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore e il giudice non respinga la relativa domanda, avuto riguardo alla gravità del fatto.
Scarico senza autorizzazione di liquami zootecnici
La fertirrigazione non va confusa con l’autorizzazione allo scarico di liquami. Nel primo caso gli effluenti da allevamento devono essere qualificati come rifiuti liquidi, il cui spandimento sul terreno costituisce deroga al divieto di abbandono dei rifiuti ex articolo 256, Tua; nel secondo, gli scarichi di acque reflue devono essere caratterizzati dall’esistenza di un sistema di condotte che collega la fonte di produzione delle acque con il luogo di scarico.
Con particolare riferimento agli allevamenti zootecnici, occorre ricordare che giurisprudenza e dottrina si sono, in più occasioni, occupate della questione relativa all’utilizzazione agronomica degli effluenti (c.d. fertirrigazione), individuando i criteri per distinguere tale attività da quella concernente il vero e proprio scarico di reflui. Il criterio discretivo tra attività di fertirrigazione irregolare e attività di smaltimento di rifiuti liquidi sul suolo (o, al limite, di scarico senza autorizzazione, con sanzione penale o amministrativa) sembra essere rappresentato dalla finalizzazione dell’attività stessa.
Ove le procedure di cui all’articolo 112, Tua non siano state seguite, si commette il reato di cui all’articolo 137, comma 14, Tua sopra esaminato; se, invece, i liquami sono semplicemente sversati sul terreno o altrove, senza alcuna intenzione di riutilizzo, tali condotte possono integrare il differente reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti o, alternativamente, di scarico senza autorizzazione (o sul suolo) – sanzionato solo in via amministrativa – a seconda che il fatto di spandimento possa essere ricondotto alla nozione di scarico oppure no.
Modalità incompatibili con la fertirrigazione sono l’interessamento solo di minima parte del terreno coltivato, di liquami lasciati che scorrono per caduta, sversati su terreno non coltivato o coltivato ma a fine ciclo vegetativo, sversati con getto diretto mediante tubazione collegata alle vasche di stoccaggio su parte limitata del terreno, determinati un notevole ristagno di deiezioni non assorbite dal terreno, sversati su terreno in forte pendenza o su terreni non di proprietà, situati anche a centinaia di chilometri di distanza.
Allo stesso modo – sfruttando la deroga dell’utilizzazione agronomica, che, di fatto, rende esente deposito/viaggio/spandimento dalle regole e dalla tracciabilità dei rifiuti – ricade in ipotesi di “falsa” fertirrigazione il prelievo di liquami zootecnici da una vasca aziendale e lo sversamento di tali sostanze su terreni incolti in quantitativi del tutto incompatibili con una vera fertirrigazione e senza nessun reale scopo agricolo.
Per ultimo, anche un accumulo prolungato nel tempo, in modo ingiustificato, di liquami all’interno dell’azienda agricola rende irrealistica la finalità di utilizzazione agronomica e tradisce il carattere di stoccaggio praticamente permanente, se non addirittura di discarica, di tale accumulo. In tale ipotesi, la volontà è chiaramente dolosa e preordinata a effettuare uno smaltimento di rifiuti liquidi zootecnici su un terreno utilizzato come “pattumiera industriale”, sfruttando in modo falso e fraudolento i vantaggi di deregulation che offre la normativa di eccezione sulla fertirrigazione.
Il testo del saggio è pubblicato sulla rivista Rivista per la consulenza in agricoltura (Euroconference), n. 62/2021 p. 37-48.
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