Con importante decisione n. 20901, del 26 giugno 2020, la Corte di cassazione ha statuito che è configurabile il concorso fra la contravvenzione di cui all’art. 18, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ai fini dell’IVA, nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera.
Il caso analizzato dalla Suprema Corte
Con il provvedimento in commento, la Suprema Corte esamina il caso – assai ricorrente – di un una società che, per ottenere un risparmio di imposta, pone in essere attività di illecita somministrazione di manodopera a favore di varie imprese, dissimulata tramite la stipulazione di contratti di appalto di servizi, di cui all’art. 29, d.lgs. n. 276/2003.
Dichiarazione fraudolenta per fatture per operazioni inesitenti
Prima di entrare nel merito della decisione in esame, pare utile ricordare che, in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta, l’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 74/2000 stabilisce che, per fatture per operazioni inesistenti, non si deve intendere solo quelle relative ad operazioni mai avvenute, ma anche quelle che recano un committente diverso da chi ha ricevuto la prestazione (Cass. n. 10916/2020; Cass. n. 6935/2017; Cass. n. 27392/2012).
Il provvedimento estende l’applicabilità del principio appena espresso anche all’ipotesi di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto emittente la fattura e quello che ha fornito la prestazione.

La soluzione trovata
La Corte ribadisce, inoltre, il costante orientamento (Cass. n. 20901/2020; Cass. n. 24540/2013), che ammette – nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha posto in essere l’interposizione illegale di manodopera – la configurabilità del concorso tra il reato di intermediazione nelle prestazioni di lavoro (art. 18, d.lgs. n. 276/2003) e quello di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, (art. 2, d.lgs. n. 74/2000). Tale ultimo reato, in altri termini, punisce indifferentemente la condotta del contribuente che indichi,
nelle proprie dichiarazioni, elementi passivi fittizi relativi sia ad operazioni soggettivamente che oggettivamente inesistenti (Cass. n. 4236/2018). Questi ultimi, per vero, sono rappresentati dai compensi (realmente) corrisposti ai lavoratori utilizzati, ma scaturiscono, allo stesso tempo, da un rapporto contrattuale differente da quello dichiarato e, perciò , dissimulato e fittizio.
La contravvenzione di intermediazione illegale di manodopera non può , pertanto, assorbire o escludere, in alcun modo, il delitto di dichiarazione fraudolenta, anche in ragione della diversità del bene giuridico tutelato dalle norme. Si deve ricordare, infatti, che tutta la normativa di cui al d.lgs. n. 74/2000 è volta a tutelare l’Erario, per garantire l’integrale riscossione delle imposte, mentre la contravvenzione di intermediazione illegale di manodopera è posta a protezione dello stesso rapporto di lavoro, che il legislatore ha inteso sottrarre, nel suo complesso, ad ingerenze di
terzi (Cass. n. 24540/2013).
Conclusioni
In conclusione, si può affermare che si è in presenza di operazioni inesistenti, sussumibili nel parametro di tipicità dell’art. 2 sopra richiamato, anche nell’ipotesi in cui le fatture indicate in dichiarazione attengono a prestazioni realmente avvenute ma eseguite da soggetti diversi rispetto a quelli dichiarati. Più specificamente, il delitto è integrato allorché il singolo dichiari di aver impiegato una certa figura contrattuale, sottacendo, però, che le concrete modalità di svolgimento del rapporto sono state assolutamente diverse ed incompatibili rispetto alla disciplina che l’ordinamento riserva al contratto, che il contribuente asserisce di aver stipulato. La traduzione pratica dei principi appena delineati, nel caso di specie, si realizza attraverso l’indicazione in dichiarazione, da parte del contribuente, di costi che sono, in realtà , da riferire non alle prestazioni lavorative che lo stesso ha “imputato” all’esecuzione del contratto di appalto, ma del contratto di somministrazione abusiva di manodopera. In definitiva, le prestazioni per le quali risultano emesse le fatture sono totalmente diverse da quelle realmente poste in essere e tale divergenza esplica rilevanti effetti sul piano tributario, giacche´ l’IVA addebitata sulla parte di imponibile, riqualificata come costo del lavoro (anziché come prestazione propria del contratto di appalto), risulta indetraibile, essendo detta componente esclusa dal campo di applicazione dell’imposta. In altri termini, i costi sostenuti per effetto della condotta illecita, rappresentata dall’intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, vengono utilizzati – di fatto – al fine di abbattere l’imponibile (C. SANTORIELLO, L’intermediazione illegale di manodopera può concorrere con il reato di false fatture, in Il fisco, 35, 2020, p. 1-3372).
E` opportuno, infine, ricordare che, per effetto del d.lgs. n. 8/2016, il Legislatore ha parzialmente depenalizzato l’art. 18, d.lgs. n. 276/2003, assoggettando alla sanzione amministrativa, tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa e dell’ammenda, ad esclusione delle ipotesi aggravate (sfruttamento di minori) e fondate sulla recidiva. (cfr. C. RONCO, Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: problematiche applicative e prospettive di riforma, in Lavoro nella Giur., 2016, VII, p.665; P. RAUSEI, Somministrazione di lavoro: nuovo sistema sanzionatorio, in Dir. e Pratica Lav., 2016, III (1), p. 13).
Il testo della nota a Cass. 20901/2020 è pubblicato sulla Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2021 pagg. 403-405.
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